Irrilevante il fatto che l’autore non abbia materialmente effettuato filmati o foto: il fastidio percepito dalla vittima della condotta è di per sé determinante per la sussistenza del reato.
La vicenda riguarda il presidente e la tesoriera di una Pro Loco della provincia di Ascoli Piceno:.
Le relazioni già da tempo deteriorate tra i due sarebbero ulteriormente degenerate con la condotta del primo, che in una moltitudine di eventi pubblici, persisteva nel rivolgere la fotocamera del proprio cellulare verso la seconda, lasciando chiaramente intendere di starla riprendendo.
Il fastidio, percepito in più occasioni dalla tesoriera, sfociava infine in una denuncia-querela ai danni del presidente.
Il Tribunale, sentiti i testimoni e la stessa persona offesa, concludeva per la responsabilità del presidente per il reato di molestie previsto e punito dall’art. 660 c.p., secondo cui “chiunque, in un luogo pubblico o aperto al pubblico, ovvero col mezzo del telefono, per petulanza o per altro biasimevole motivo, reca a taluno molestia o disturbo è punito con l’arresto fino a sei mesi o con l’ammenda fino a euro 516,00”.
In aggiunta, lo stesso Tribunale concludeva per l’irrilevanza del fatto che l’imputato non avrebbe in realtà registrato alcun video né scattato alcuna foto: ciò non escludeva in ogni caso la petulanza del comportamento attuato.
In Cassazione il principio viene essenzialmente confermato: il contegno del direttore rientra senza dubbio nella fattispecie di molestia o disturbo alle persone in quanto certamente idoneo a generare fastidio verso la vittima.
Il solo fatto di trovarsi il dispositivo puntato contro è per la vittima di per sé sufficiente a suscitare il timore di patire una fastidiosa invasione della propria sfera privata e, quindi, a minare la sua serenità d’animo e arrecarle un turbamento effettivo e significativo [1].
Anche l’insistenza dell’imputato nell’attuare tali condotte esclusivamente a danno della parte offesa e non anche di altri soggetti presenti ai vari eventi ha, per la Cassazione, contribuito alla conferma del giudizio di primo grado.
Respinto anche l’ultimo motivo di ricorso dell’imputato, secondo cui la sua condanna sarebbe stata pronunciata senza che il Tribunale provasse l’esistenza dei “biasimevoli motivi” che lo avrebbero spinto a molestare la donna, non dimostrati in primo grado né dunque posti a motivazione della sentenza.
In realtà il Tribunale aveva espressamente collegato le condotte moleste ai contrasti insorti tra i due circa la gestione dell’associazione e che certamente non giustificavano l’imputato a disturbare la donna con fare petulante e invadente.
Il ricorso in Cassazione proposto dal direttore viene dunque dichiarato inammissibile.
[1] Cass. Pen. Sez. I, Sent. n. 6245 del 22/02/2022.