L’uomo aveva sigillato l’entrata già esistente e ne aveva realizzata una seconda accessibile solo a lui. Fondata l’iniziativa degli altri condòmini volta a riappropriarsi del terrazzo.
Qualunque condominio, come illustrato dall’art. 1117 c.c., oltre le singole unità immobiliari private, dispone anche di parti comuni.
Rientrano nel novero delle parti comuni, a titolo esemplificativo e non esaustivo, elementi del palazzo quali le scale, il portone di ingresso, i tetti e i lastrici solari, caratterizzati dal fatto di essere di proprietà comune di tutti i condòmini.
In base a quanto previsto dall’art. 1139 c.c., che rinvia alla disciplina in materia di comunione, ogni condòmino ha diritto a servirsi delle parti comuni purché non ne alteri la destinazione d’uso e non impedisca gli altri aventi diritto a farne il medesimo uso.
A tutela delle parti comuni e della destinazione d’uso, in caso di attività che vi incidono negativamente o in modo sostanziale, la legge prevede che l’amministratore o anche i singoli condòmini possono diffidare l’esecutore della condotta illecita o convocare l’assemblea per far cessare la violazione, anche per vie legali [1].
Nella vicenda in analisi, il Condominio chiedeva al Tribunale la reintegra nel possesso della porzione di terrazzo condominiale che il condòmino C.A., proprietario di un appartamento all’ultimo piano, aveva abusivamente occupato senza il consenso degli altri.
Nello specifico, C.A. aveva di sua iniziativa murato l’originario accesso al terrazzo condominiale realizzandone uno nuovo e chiudendolo con una porta blindata di cui solo lui aveva le chiavi.
Lo stesso condòmino aveva posizionato sulla parte di lastrico sopra il suo appartamento delle apparecchiature per il funzionamento dell’impianto di climatizzazione e il Condominio lamentava che i lavori per l’applicazione di tali impianti avevano danneggiato la struttura del solaio, compromettendo la guaina impermeabilizzante e dunque favorendo un ristagno di acque piovane.
Il Condominio domandava al Tribunale che C.A. ripristinasse l’originario accesso alla terrazza condominiale e consegnasse le chiavi di accesso.
Il Tribunale, appurato il relativo danno, disponeva l’eliminazione delle conseguenze provocate dal ristagno delle acque piovane ma rigettava le altre richieste del Condominio ritenendo non sufficientemente provato il possesso esclusivo della terrazza condominiale da parte di C.A.
In appello, la Corte accoglieva invece la domanda del Condominio riconoscendo la natura condominiale del lastrico solare e condannava l’appellato al ripristino della porta metallica originariamente presente oltre che alla riconsegna delle chiavi sia della porta ripristinata che di quella da lui apposta.
C.A. propone ricorso per Cassazione che viene tuttavia rigettato.
A detta della Corte, “qualora uno dei condòmini, senza il consenso degli altri e in loro pregiudizio abbia alterato o violato lo stato di fatto o la destinazione della cosa comune impedendo o restringendo il godimento spettante a ciascun possessore “pro indiviso” sulla cosa medesima in modo da sottrarla alla sua specifica funzione, sono esperibili dagli altri proprietari le azioni a difesa del compossesso per conseguire la riduzione della cosa al pristino stato, allo scopo di trarne quella “utilitas” alla quale la cosa era asservita prima della contestata modificazione” [2]
[1] art. 1117-quater c.c.
[2] Cass. Civ. Sez. VI-2, ord. n. 8032 dell’11/03/2022